documenti per la richiesta della cittadinanza italiana

Ecco i documenti da allegare al modulo per la presentazione della richiesta di cittadinanza:
1) estratto dell’atto di nascita completo di tutte le generalità;*
2) certificato penale del Paese di origine e degli eventuali Paesi terzi di residenza;*
3) certificato/i storico/i di residenza;
4) titolo di soggiorno;
5) certificato del casellario giudiziale e dei carichi pendenti;
6) stato di famiglia;
7) modelli fiscali (CUD, UNICO, 730) relativi ai redditi percepiti negli ultimi tre anni;
8) ricevuta di versamento del contributo di € 200,00;
9) certificato di cittadinanza italiana del genitore o dell’ascendente in linea retta fino al
II°grado; (art.9,c.1,lett.a);
10) sentenza di adozione rilasciata dal Tribunale (art.9, c.1,lett.b);
11) documentazione relativa alla prestazione del servizio, anche all’estero, alle dipendenze dello
Stato (art.9,c.1,lett.c);
12) certificato di riconoscimento dello status di apolide o dello status di rifugiato;(art.9 c.1,
lett.e) – art.9 comma 1 lett.e) e art.16 comma 2);**
* Gli atti di cui ai punti 1) e 2) dovranno essere legalizzati dall’Autorità diplomatica o consolare italiana presente nello Stato di formazione,
salvo le esenzioni previste per gli Stati aderenti alle Convenzioni internazionali. Gli atti dovranno altresì essere debitamente tradotti in lingua
italiana dalla suddetta Autorità ovvero, in Italia, dall’Autorità diplomatica o consolare del Paese che ha rilasciato l’atto (in questo caso la firma
del funzionario straniero dovrà essere legalizzata dalla Prefettura competente), oppure da un traduttore ufficiale o da un interprete che ne
attesti con le formalità previste la conformità al testo straniero.
**In mancanza del documento di cui al punto 1) l’interessato potrà produrre atto di notorietà formato presso la Cancelleria del Tribunale
territorialmente competente, recante l’ indicazione delle proprie generalità nonché quelle dei genitori. Per i certificati di cui al punto 2)
l’interessato potrà produrre una dichiarazione sostitutiva di certificazione in cui attesti, sotto la propria responsabilità, di non avere riportato
condanne penali né di avere procedimenti penali in corso nel proprio Paese di origine e degli eventuali Paesi terzi di residenza.

I DOCUMENTI RICHIESTI VARIANO IN RELAZIONE ALLE MODALITA’ E AL TIPO DI CONCESSIONE DELLA CITTADINANZA

Qui puoi scaricari i modelli per ottenere la cittadinanza

cittadinanza per matrimonio

cittadinanza per residenza

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L’apolidia (composto di alfa privativo e polis, “città” in greco), è lo stato dei soggetti privi di qualunque cittadinanza. Tali soggetti sono detti “apolidi”.
Si diventa apolidi “per origine” o “per derivazione”:
Si è apolidi per origine quando non si è mai goduto dei diritti e non si è mai stati sottoposti ai doveri di nessuno Stato.
Si diventa apolidi per derivazione a causa di varie ragioni tutte conseguenti alla perdita di una pregressa cittadinanza e alla mancanza di una contestuale acquisizione di una nuova. Le ragioni possono essere:
annullamento della cittadinanza da parte dello Stato per ragioni etniche, di sicurezza o altro;
perdita di privilegi acquisiti in precedenza (per esempio la cittadinanza acquisita per matrimonio);
rinuncia volontaria alla cittadinanza.
Si diventa apolidi in senso formale solo tramite rinuncia espressa alla propria cittadinanza naturale; i figli di apolidi si trovano tipicamente nella condizione di chi nasca in un territorio nazionale e normalmente questo basta per l’automatica acquisizione della cittadinanza dello Stato del luogo di nascita.
In passato era anche ammissibile una forma di apolidia di tipo sanzionatorio, derivante dal venir meno della cittadinanza come pena accessoria collegata alla commissione di un illecito penale: l’Aquae et igni interdictio rientrava in questa ipotesi.
Si pone spesso il problema internazional-privatistico di quale sia la legge regolatrice dello statuto personale dell’apolide. In assenza di cittadinanza, si adotta il criterio del domicilio e, in second’ordine, della residenza.

Come ottenere il riconoscimento dello status di apolide

tratto da aduc.it
Come ottenere il riconoscimento dello status di apolide
di Emmanuela Bertucci, legale Aduc

La legge italiana tutela gli apolidi, riconoscendo loro gli stessi diritti attribuiti ai rifugiati politici (documenti di identita’, permesso di soggiorno, lavoro, assistenza sanitaria, previdenza sociale, possibilita’ di chiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni, ecc.).

Per contro, ottenere il riconoscimento dello status di apolide e’ tutt’altro che semplice poiche’ regna la piu’ assoluta incertezza sulle procedure da seguire. A chi presentare la domanda? La legge 91 del 1992 in tema di cittadinanza tace. Il relativo regolamento di attuazione (DPR 572 del 1993) prevede, all’art. 17, la “possibilita’” di presentare una istanza al ministero dell’Interno. Non vi sono altri riferimenti normativi che aiutino a comprendere se questa sia l’unica possibilita’, ovvero sia alternativa all’accertamento dello status di apolide in giudizio, secondo le norme generali sull’accertamento dal giudice ordinario degli status (es. status di cittadinanza, di rifugiato, status civili, ecc.). La giurisprudenza sul punto e’ discordante, e nel corso degli anni si sono sviluppati tre diversi orientamenti, nessuno dei quali ha prevalso sull’altro. Secondo un primo orientamento l’accertamento dello status di apolide puo’ essere richiesto al giudice ordinario citando in causa come controparte il ministero dell’Interno. Un secondo orientamento ritiene che la richiesta possa esser fatta davanti al giudice, senza bisogno di citare il ministero dell’Interno, con il cosiddetto rito camerale. Da ultimo, altra parte della giurisprudenza sostiene che l’unico organo legittimato a conoscere della richiesta di accertamento dello status di apolide sia il ministero dell’Interno.

In questa giungla di decisioni discordanti proponiamo questa procedura:

A chi presentare la domanda?

La domanda deve essere presentata al ministero dell’Interno tramite raccomandata con ricevuta di ritorno al seguente indirizzo:

Dipartimento per le liberta’ civili e l’immigrazione Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e l’immigrazione Via Cavour, 6 00184 ROMA

Vista i contrasti della gia’ esigua giurisprudenza pubblicata in merito, riteniamo infatti piu’ prudente seguire la procedura indicata dall’unica norma esistente in materia. Cio’ per mettersi al riparo dalle oscillazioni della giurisprudenza e dagli eventuali ritardi che un rigetto della domanda comporterebbe.

Quali sono i tempi per l’emissione del provvedimento?

Se per decidere in merito al riconoscimento della cittadinanza, che e’ tutto sommato un procedimento documentale solitamente ben istruito e di “pronta soluzione”, il ministero dell’Interno impiega circa 4-5 anni (a fronte dei due anni previsti dalla legge), possiamo solo immaginare che i tempi per il riconoscimento dello status di apolide siano molto piu’ lunghi. Ad ogni modo, poiche’ la legge non prevede un termine finale specifico entro il quale il Ministero deve pronunciarsi, si applicheranno le norme generali in tema di procedimento amministrativo. Il ministero avra’ dunque 90 giorni per emettere un provvedimento di accoglimento o di rifiuto dell’istanza.

Cosa fare se il Ministero non risponde entro i termini, o se rigetta l’istanza?

In caso di mancata pronuncia da parte del Ministero entro novanta giorni dal deposito dell’istanza, si potra’ impugnare il silenzio inadempimento citando il Ministero avanti al giudice ordinario, e chiedendo a quest’ultimo di accertare lo status di apolide. Similmente se, nello stesso termine, il Ministero rigetta l’istanza.
In proposito, parte della giurisprudenza ritiene che il silenzio della pubblica amministrazione (o il provvedimento di diniego) debba essere impugnato avanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). Cio’ perche’ secondo questo orientamento non esiste un diritto al riconoscimento dello status di apolide, ma solo un interesse legittimo. In pratica, la pubblica amministrazione puo’ “concedere” il riconoscimento sulla base di una serie di valutazioni che confluiscono comunque in una scelta discrezionale.
Al contrario, riteniamo che a decidere sul silenzio inadempimento impugnato sia competente il giudice ordinario perche’ ad esso e’ devoluta la materia degli status personali, e perche’ il riconoscimento del proprio status di apolide non e’ un interesse legittimo ma un diritto soggettivo. Cio’ per due ordini di motivi:
1) La legge italiana, nonche’ diverse convenzioni internazionali (Convenzione di New York del 1954 relativa allo status degli apolidi; Convenzione del 1961 sulla riduzione dell’apolidia) riconoscono agli apolidi de jure (cioe’ riconosciuti come tali) una serie di diritti che non si hanno se si e’ apolidi di fatto;
2) L’apolide de jure puo’ successivamente acquisire la cittadinanza del paese che lo ha riconosciuto come tale. Posto che il diritto alla cittadinanza e’ uno dei diritti fondamentali dell’uomo (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Patto internazionale sui diritti civili e politici, Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, fra i tanti), altrettanto deve dirsi del riconoscimento dell’apolidia, senza la quale il “senza patria” non puo’ accedere al primo.

Si puo’ chiedere un permesso di soggiorno prima che sia intervenuto il riconoscimento dello status di apolide?

Nel caso non si sia in possesso di permesso di soggiorno, non e’ necessario attendere la pronuncia del giudice per ottenerlo, ma si puo’ sin dall’atto introduttivo del giudizio formulare una contestuale istanza con la quale si chiede al giudice di emettere un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. con il quale imponga alla Questura di rilasciare un permesso di soggiorno “provvisorio” in attesa della definizione del giudizio, fornendo la prova del grave danno che l’istante subisce. In questo senso riteniamo sia molto semplice provare tale danno, posto che chi non ha permesso di soggiorno non puo’ lavorare e dunque avere mezzi di sussistenza.

migrantes

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Another wrongfully accused Ethiopian journalist | DOHA CENTRE FOR MEDIA FREEDOM
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“It has been more than a year and a half since I began to receive warnings from National Intelligence and Security Service agents,” explains Betre Yacob.