Nella provincia di Sindh, un esperimento per educare le nuove generazioni al pensiero critico
Educare le nuove generazioni al pensiero critico. La scommessa viene da Sindh, provincia del Pakistan il cui governo ha deciso di dare una rispolverata al sistema scolastico pubblico, viziato dai condizionamenti ideologici dei regimi autoritari e del fondamentalismo coranico e talebano. Una bella sfida per un Paese che è al secondo posto nel mondo per numero di ragazzi che non vanno a scuola (25 milioni) e dove solo il 32 per cento delle donne sa leggere (censimento 2008).
Sharmeen Obaid-Chinoy, giornalista edocumentarista pakistana, è uno dei consulenti che aiuteranno Sindh a cambiare volto alla scuola. Chiacchierando con lei si intuisce perché il governo le ha affidato questo compito: laureata in economia e politica, attivista per i diritti civili, vincitrice di un Emmy Award per il documentario “Pakistan:Children of the Taliban”, Sharmeen incarna un ideale di donna intellettuale poco comune in Pakistan: letterata, anticonformista e consapevole.
“La mia fortuna più grande è stata quella di poter studiare in una scuola privata” racconta Sharmeen a PeaceReporter. “In Pakistan la differenza tra istituti privati e pubblici è abissale. Nei primi gli studenti ricevono un’educazione all’occidentale, moderna e competitiva. Nei secondi sono indottrinati a non pensare. I concetti contenuti nei libri di scuola, spesso errati e datati, vengono appresi a memoria, senza essere capiti. Gli insegnanti, del resto, non sono tenuti a fornire strumenti di interpretazione della realtà ma si limitano ad essere il prodotto di un sistema che svezza generazioni di giovani fragili , facili prede del terrorismo”.
Ma qualcosa, almeno in una delle quattro province del Paese, sta per cambiare. Abbiamo chiesto a Sharmeen di raccontarci in anteprima la riforma promossa da Sindh.
Il progetto non è ancora ufficialmente partito. Ci vuoi anticipare di cosa si tratta?
Abbiamo da poco terminato la fase di raccolta dei fondi e nel giro di un mese partiremo con una campagna mediatica per portare attenzione sul tema. Le linee di intervento del progetto di riforma sono tre: la prima è di diffondere un nuovo approccio mentale. Vogliamo mettere i giovani nelle condizioni di sviluppare un pensiero critico nei confronti della società in cui vivono. Lo faremo, ad esempio, inserendo esercizi di problem solving, creatività e logica nel programma didattico; Il secondo intervento sarà avviare un programma di training per gli insegnanti, che dovranno essere gli ambasciatori del cambiamento culturale. Il terzo consisterà nel sostituire i libri di testo utilizzati nelle scuole pubbliche con volumi aggiornati in grado di veicolare una visione più ampia dei fatti.
Chi scrive i libri di testo in Pakistan?
Fino a non molto tempo fa era il governo a scrivere e a selezionare, attraverso una commissione speciale, i libri più adatti a rientrare nei programmi scolastici. Negli anni ‘70 erano diffusi libri molto moderni. Poi nel corso degli anni ‘80 sono stati sostituiti da testi sempre più faziosi e parziali. Ogni riferimento a ciò che accadeva fuori dal Pakistan è stato eliminato, con l’effetto di chiudere il nostro Paese in un isolamento pericoloso. Oggi, fortunatamente assistiamo alla nascita di un nuovo mercato dell’editoria privato. Questo è positivo perché getta le basi per una pluralità di idee prima inconcepibile e per una competizione sana.
Come riuscirete a cambiar la testa degli insegnanti
E’ dura perché manca la mentalità. Nella provincia di Sindh ci sono 1.500 docenti (per circa 13 milioni di giovani sotto i 16 anni ndr). La sfida più grande sarà riuscire a trasmettere loro fiducia in se stessi e a convincerli dell’importanza del loro ruolo formativo. Per questo stiamo scrivendo delle vere e proprie “teacher’s guide” con cui li sproneremo a diventare portavoce di un pensiero libero.
Quanto tempo ci vorrà per fare tutto questo?
Tanto. Ci vorrà una generazione almeno per cambiare le cose. Dieci, quindici anni. Ma dobbiamo pur cominciare, no? Era ora che il governo se ne accorgesse.
Il mondo è di chi ha pazienza, dice un proverbio, e Sharmeen Obaid-Chinoy non è una che si arrende alla prima difficoltà. Grazie al suo impulso, nel 2007 prende luce il “Citizen Archive of Pakistan”, il primo archivio digitale pakistano nato per documentare la storia orale del Paese attraverso interviste, fotografie e testimonianze del passato. Il Cap, di cui Sharmeen è oggi Presidente, ha tra le sue funzioni quella di correggere nelle nuove generazioni gli errori del passato. Per esempio con il programma di scambio culturale “Exchange for change” in cui studenti Pakistani e Indiani decidono di inviarsi lettere, fotografie e racconti per un anno per apprendere, gli uni dagli altri, a non avere pregiudizi e a farsi una opinione propria, sin da piccoli.
Camilla Mastellari