«Dopo i tragici fatti del Giappone, una decisione sul nucleare il Paese l’ha già presa nel sentire comune. Lo stesso sentire comune che mosse gli italiani nel referendum di fine anni ’80. Ancora oggi i rischi appaiono maggiori dei benefici». Lo ha affermato il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, intervenendo nel seminario — “Il dilemma energetico: la risposta è il nucleare?” — organizzato a Roma dall’associazione in vista del referendum del 12 e 13 giugno.
«Non siamo antinuclearisti per principio preso – ha spiegato Olivero – Semmai il principio che ci ispira, come nelle altre questioni che vedono intrecciate le ragioni della tecnica con quelle della vita — è quello di precauzione. Non possiamo non tener conto di quello che è accaduto in Giappone. Non perché spinti dall’emotività, ma perché è fallito di un modello di sviluppo che puntava sulla sicurezza assoluta delle tecnologie nucleari. E invece il problema della sicurezza permane, non tutto è controllabile. E allora abbiamo l’obbligo di agire con prudenza, perché in gioco c’è il destino delle generazioni future».
Rimane il “dilemma energetico”. «Abbiamo bisogno di costruire un nuovo modello energetico sicuro non solo dal punto di vista ambientale ma anche geopolitico. Questa questione non può rimanere fuori dal dibattito dell’opinione pubblica, dallo spazio della democrazia. Il referendum può diventare l’occasione per far questo, per coinvolgere i cittadini, per allargare la discussione». «Di certo – ha concluso Olivero – non si può pensare di rimanere nella situazione attuale. Abbiamo comunque bisogno di un salto di qualità da un punto di vista energetico. Per il governo questo ‘salto’ era il nucleare – e noi abbiamo forti perplessità rispetto a questa scelta – ma chiediamo comunque un uguale investimento per colmare il gap energetico del nostro Paese».
In vista delle decisioni da prendere in merito ai referendum di giugno, è intervenuto nel seminario Alfiero Grandi, del comitato nazionale “Vota sì per fermare il nucleare”. «Il Giappone ci insegna – ha detto – che gli incidenti non si possono mai escludere, e infatti sono tantissimi, per fortuna non sempre così gravi, ma in molto casi non sono resi noti, vengono sottaciuti». «Il nostro Paese – ha aggiunto — non si presta al nucleare per il rischio sismico, la conformazione orografica, la concentrazione della popolazione». Quindi il problema dei rifiuti nucleari: « Come è possibile lasciare alle future generazioni un’eredità di scorie per diecimila anni?» ha detto. «E non è vero che avremo energia a ‘costo’ minore. Il prezzo del nucleare – costruzione delle centrali, sicurezza, dismissione — è alto anche dal punto di vista economico, non è ammortizzabile». Le energie rinnovabili «offrono vantaggi occupazionali 20 volte maggiori rispetto al nucleare, consentono investimenti diffusi che coinvolgono persone e piccole imprese, mettono insieme lavoro, ambiente e ricerca, in un’ottica che guarda al futuro».
Posizione diversa quella di Giuseppe Zollino, docente di Ingegneria elettrica dell’università di Padova. «Vietare il nucleare – ha sostenuto — è una scelta sbagliata, perché impedisce la ricerca e quindi anche i miglioramenti tecnologici che potrebbero garantire maggiore sicurezza. Discutiamo semmai su quale nucleare, ridiscutiamo il modello organizzativo stabilito dalla legge 99. Apriamo un dibattito parlamentare per arrivare a garantire una seria agenzia di controllo, magari a livello europeo». Così come «un deposito unico europeo poterebbe ipotizzarsi per gestire le scorie radioattive, per ragioni di costi e di sicurezza».
«La discussione si poteva fare prima di partire con la ‘scelta’ nucleare – ha replicato Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente – E’ dagli anni ’80 che manca un Piano energetico nazionale. Oggi stiamo vivendo in tutto il mondo una fase di grande rivoluzione energetica, ed il nucleare è la tecnologia più vecchia, costosa, e incontrollabile. La tecnologia delle rinnovabili, invece, è matura per sostenere gli scenari energetici futuri».