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22/ 12/ 2024 ------ 14:45 siti web preferiti
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Presentata la web television realizzata da Euromediterranea nell’ambito del progetto DIMMi della Provincia di Foggia
Una web television dedicata ai temi dell’immigrazione e dell’intercultura. Uno spazio aperto in cui incontrarsi, confrontarsi, conoscersi con l’obiettivo di offrire servizi ai migranti e creare occasioni culturali. Perché è nella conoscenza dell’altro che è possibile superare pregiudizi e paura. Questa la filosofia progettuale che anima ‘FrontieraTV’, il canale multimediale realizzato da Euromediterranea Pianificazione & Sviluppo, che vede nel progetto D.IMMI. — promosso dall’assessorato Provinciale alle Politiche Sociali e finanziato dalla Regione Puglia — la sua prima apparizione pubblica.
Legge & Diritti, Salute e Assistenza Medica; Mondo del Lavoro; Casa & Accoglienza; Cultura & Religione; Istruzione & Formazione. Diverse le rubriche che caratterizzano il palinsesto di FrontieraTv che attraverso documenti, servizi, reportage, schede di approfondimento, storie di vita vuole “favorire un processo di comunicazione interculturale che avvicini i cittadini italiani ai temi dell’immigrazione superando eventuali e di pregiudizio e di paura” spiega Antonio Cocco, amministratore unico di Euromediterranea.
Ma FrontieraTv vuole essere soprattutto uno strumento di servizio a disposizione dei migranti, un mezzo per facilitare la loro integrazione nella vita socio-economica del territorio. Per questo, a breve, i video relativi all’accesso ai Servizi saranno tradotti in diverse lingue dai rifugiati beneficiari delle borse lavoro previste nel progetto ‘8 azioni per mille idee’.
Infine, ‘FrontieraTV’ ambisce ad essere un contenitore culturale di eventi ed iniziative finalizzate a promuovere le tematiche dell’immigrazione. Per questo, in collaborazione con leAcli � Presidenza Nazionale Area Immigrazione ha organizzato per giovedì 24 giugno, alle ore 18.30, presso la ‘Sala Rosa’ del Palazzetto dell’Arte di Foggia, la presentazione del libro ‘Tutti indietro’ di Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
La storia di un giovane richiedente asilo che ha viaggiato in mare tre giorni e che ha lasciato il suo Paese a causa di conflitti politici e religiosi
Lawrence White ha cantato sotto le stelle. Ha cantato e pregato che il suo viaggio della speranza andasse bene. Un viaggio durato tre giorni a bordo di una carretta di mare, una di quelle barche che attraversano il Mediterraneo per portare i migranti dalla Libia in Italia. Migranti che scappano dai loro Paesi per sfuggire a guerre, fame, persecuzioni. Come White, 25 anni e gli occhi grandi come il sorriso che riesce ancora a regalare a chi gli chiede di raccontare un po’ della sua storia, di quello che ha vissuto.
White: Sono andato via dal mio Paese perché avevo problemi di tipo politico e ho visto molti dei miei amici arrestati. Ho lasciato la Nigeria a causa di problemi politici. Sono andato via perché molti dei miei amici venivano arrestati e rischiavo di essere arrestato anch’io. Quindi sono dovuto partire
Ma White ha lasciato la Nigeria anche per motivi religiosi: lo scontro tra cristiani e musulmani che ha provocato numerose vittime. White è cristiano e non nasconde la sua fede. Anzi, è proprio in Dio e nella preghiera che trova la forza di andare avanti. Anche se durante il viaggio ha toccato da vicino la sofferenza.
White: E’ un’esperienza che non auguro a nessuno. Il viaggio è stato molto difficile. Molti ragazzi non ce l’hanno fatta. Le condizioni della barca erano inumane. E avevamo tanti problemi. La pelle si screpolava sotto al sole. Io ho pianto spesso sulla barca perché la gente moriva mentre parlavo ed io non potevo fare niente.
Durante il viaggio sulla barca White ha pensato sempre alla madre. Di lei non ha più notizie da quando è arrivato in Libia, da quando gli hanno separati.
White: Pensavo a mia madre. Ma soprattutto al fatto che potevo morire e la mia famiglia era lontana. La mia prima speranza era per loro, anche se in realtà non sapevo neanche se mia madre fosse ancora viva. Vedendo i miei amici morire non potevo fare altro che pregare per la mia anima e tentare di sopravvivere. Non sapevamo ove eravamo e dove stavamo andando.
Poi lo sbarco a Lampedusa, in Italia e la speranza di essere arrivato in ‘Paradisio’, di non avere più problemi.
White: Sì, pensavo di essere arrivato in Paradiso e che tutti i problemi fossero finiti. In realtà, ne sorsero di nuovi, ma immaginavo che con l’arrivo in Italia sarei stato felice. Per me era come la terra promessa. Così ce l’avevano descritta. Nessuno poteva immaginare il ripresentarsi di situazioni già vissute. Era una situazione paradossale: volevano da noi dei documenti, volevano sapere se eravamo qui per lavorare, se avevamo un lavoro. Ma non avevamo nulla di tutto ciò. Il rischio allora era di tornare indietro. E noi non volevamo assolutamente tornare indietro.
Ma da Lampedusa lo hanno mandato al Centro d’Accoglienza per richiedenti Asilo di Borgo Mezzanone. E qui che White ha presentato la domanda come richiedente asilo politico.
White: Sono rimasto molto sorpreso perché indipendentemente da quello che dicevamo, la Commissione ha dato alla maggior parte di noi una risposta negativa. E ciò significava per noi il prefigurarsi la condizione di irregolari, in quanto non avendo soldi, lavoro e tutto ciò che serve per avere il permesso di soggiorno e soprattutto un avvocato, non potevamo ricevere e godere di nessuna forma di assistenza e servizi. Il problema era che non avevo nessuno a cui far riferimento o su cui poggiarmi, non avevo familiari. Sembrava che il mio passato, il mio vissuto fossero irrilevanti al fine di poter essere legalmente accolto. E questo era un problema.
E adesso cosa stai facendo?
White: E adesso è un problema. Non ho soldi, non posso pagare l’avvocato, non ho dove dormire, non ho una casa. Ho pochi amici e molti di loro sono anche ripartiti. Insomma, ho molti problemi.
Intanto White coltiva il suo talento, il dono ricevuto in cambio della dura prova che ha dovuto affrontare. E compone, scrive canzoni, melodie. Testi che hanno il compito di raccontare agli altri la sua storia.
White: La maggior parte degli italiani non conosce i problemi che abbiamo avuto nel deserto, nel mare e tutto ciò che abbiamo passato. In molte delle mie canzoni parlo del mio vissuto perché questa è una necessità che sento dentro di me. Io ho molti sogni. La cosa che mi piacerebbe fare è poter cantare ovunque vada. Ma adesso penso a mia madre perché non so dove sia. Dove è? Come sta? Vorrei rivederla. Vorrei che un giorno riuscissimo a ricongiungerci.
Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, è stata ospite di un’iniziativa promossa da FrontieraTv e Acli — Presidenza Nazionale Area Immigrazione
In Italia nel 2009 le domande dei richiedenti asilo politico sono diminuite del 130%, passando dalle oltre 30mila dell’anno precedente a 17mila. Un calo non casuale, ma che va rintracciato nella politica di respingimento nei confronti dei migranti messa in atto dal Governo Italiano. Questa una delle riflessioni emerse nel corso della presentazione del libro ‘Tutti indietro’ diLaura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. La Boldrini è stata ospite a Foggia di un evento culturale promosso da FrontieraTv, la web television dedicata ai temi dell’immigrazione e dell’intercultra, e Acli Presidenza Nazionale Area Immigrazione, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato celebrata lo scorso 20 giugno.
Laura Boldrini (Portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati UNHCR) Il fatto che ci sia stata una drastica diminuzione delle domande d’asilo significa solo che persone che avrebbero diritto di poter chiedere protezione non lo possono più fare in Italia. E questo certamente non fa onore al Paese. Significa anche che la politica dei respingimenti non è servita a fare contrasto all’immigrazione cosiddetta clandestina, ma è servita a mettere a dura prova la fruibilità del diritto d’asilo in Italia. Quindi per noi questa non è sicuramente una buona notizia.
La Boldrini, quindi, ha deciso di mettere “nero su bianco” le sue preoccupazioni, i timori verso una politica di respingimento che contrasta con i diritti dell’uomo, con la Convezione di Ginevra del ‘51. Senza tener conto che il sistema d’asilo in Italia è ancora piuttosto debole pur facendo leva su tre pilastri.
Laura Boldrini: L’accesso al territorio, e oggi questo è reso molto difficile dalla politica del respingimento; la procedura d’Asilo, che in Italia viene svolta con criterio e a nostro avviso è una buona procedura; il terzo pilastro è quello dell’integrazione, nel quale mancano assolutamente le risorse necessarie per aiutare le persone che hanno ottenuto un permesso di soggiorno per motivo d’asilo a rifarsi una vita, perché manca comunque un investimento iniziale per consentire a queste persone di andare con le proprie gambe. Anche qui in Puglia voi lo vedete ci sono tanti ragazzi che hanno la protezione internazionale che vivono in condizioni di degrado, che vengono sfruttato specialmente nell’agricoltura stagionale e che stentano a rifarsi una vita. Questo perché non è stato fatto sufficientemente un investimento iniziale per cui poi alla fine questi ragazzi si trovano a sopravvivere con i mezzi di cui dispongono.
Nel suo libro l’autrice racconta le storie dei migranti, uomini-donne-bambini, andati via dal loro Paese per sfuggire a guerre e persecuzioni. Un modo per far conoscere verità tenute nascoste, per dare voce a quanti tra mille difficoltà e violenze sono riusciti ad arrivare in Italia.
Laura Boldrini: Ho voluto scrivere il libro anche perché pensavo che fosse doveroso restituire questo patrimonio di storia all’opinione pubblica e proprio per fare chiarezza su un argomento sui si è fatta una pura mistificazione. Persone, spesso vittime di regimi e di guerre, che arrivate in Italia diventavano una minaccia nell’immaginario delle persone, una minaccia per la sicurezza nazionale. Ho pensato di voler dare la versione di questo fenomeno dal punto di vista di chi è arrivata negli anni.
E a rendere più suggestive e toccanti le storie dei migranti è stato Roberto Galano, delTeatro dei Limoni, che ha letto alcuni bratti tratti dal libro. Ma la serata ha riservato anche un’amara riflessione sulla condizione delle donne in fuga dalla paura. Le più fragili, le più indifese.
Laura Boldrini: Le donne sono sicuramente quelle che pagano il prezzo più alto, perché pagano, molte di loro hanno pagato un pedaggio sessuale. Spesso nei casi di ragazze molto giovani neanche maggiorenni. Ora io ho pensato che c’è troppo silenzio su questo fenomeno, sul fatto delle violenze a danno delle donne che tentano di trovare un posto sicuro dove vivere, dove cercare protezione. E con questa dedica mi auguro di sollevare un po’ attenzione su questo fenomeno nel quale non ci sono studi, non ci sono ricerche, non ci sono dati ufficiali. E’ come se tutto venisse oscurato perché non è interesse di nessuno.
Tra gli ospiti che hanno dialogato con l’autrice, anche Elena Gentile, assessore al Welfare della Regione Puglia, che parlando di immigrazione ha ricordato il Forum ‘Mare Aperto’, l’iniziativa promossa nel luglio del 2005 da Nichi Vendola come primo atto alla guida del Governo Pugliese.
Elena Gentile: E’ stata per un pezzo della Puglia, per un pezzo della società pugliese il momento in cui per davvero si cominciava a pensare che anche da un’esperienza di governo di periferia si potessero creare le condizioni non per cambiare le cose o cambiare il mondo, sarebbe stato troppo bello.Ma per disseminare anche in maniera silenziosa il tema della cultura delle differenze e del rispetto delle persone.
Tante, dunque, le persone che hanno affollato la Sala Rosa del Palazzetto dell’Arte di Foggia, riunite dall’iniziativa culturale lanciata da FrontieraTv che vuole essere un primo passo, un primo seme verso altri appuntamenti tesi a favorire una maggiore attenzione verso il mondo dei migranti e dell’intercultura.
Le comunità dei migranti per dialogare utilizzano tutti i moderni canali di comunicazione
Parlano, chattano, scherzano, condividono esperienze. Si danno anche appuntamento. Ma non nei pressi di qualche negozio o via particolare, ma davanti allo schermo del computer. Sono due ragazze ucraine che vivono a migliaia di chilometri di distanza. Una a Foggia, l’altra a Kiev. E come loro, cittadini di comunità africane, sudamericane, dell’Europa dell’Est possono quasi sfiorarsi, sentirsi vicini anche se separato dagli oceani o terre sconfinate. E’ la forza dei nuovi canali di comunicazione che abbattono le frontiere, che inceneriscono i confini, e riescono ad avvicinare le persone. Specialmente i migranti, specialmente quei cittadini che vivono in Italia lontani dai loro parenti, dai loro amici, da coloro che hanno lasciato per vivere il sogno di un vita migliore nel nostro Paese.Ed oggi grazie alle videochiamate effettuate su Skype o al social network di Facebook comunicare è molto più semplice. Bastano un computer ed un collegamento internet. E se non tutti i migranti possono accedere al servizio direttamente da casa, gli internet point a poco più di un euro all’ora consentono di raggiungere virtualmente tutto il mondo. E la maggior parte di questi Centri sono gestiti proprio da cittadini stranieri.Quello di Skype è senza dubbio il canale di comunicazione più immediato, perché anche se separati da uno schermo, le persone hanno quasi la percezione di potersi sfiorare, toccare, abbracciare. Ed è così che i nonni rimasti in Ucraina possono comunque veder crescere le loro nipotine nate in Italia. Un modo, dunque, per tenere uniti i contatti, per parlare con i propri familiari aggirando la tristezza del distacco. Così come Facebook permette di chattare o di dare notizie di sé a chi è lontano. E tra le comunità di chi arriva dai paesi dell’Est, i social network più utilizzati sono quelli di love.ru e kontakte.Finestre virtuali che ospitano e condividono in modo particolare i pensieri di cittadini russi, ucraini, polacchi. Insomma, la tecnologia abbatte le frontiere ed anche se non può sostituire il calore della vicinanza, può rendere la permanenza di un migrante in Italia un po’ meno dura.
Il fotografo turco ha raccontato per immagini la quotidianità dell’antico popolo Oruk che vive in semplicità e conserva le tradizioni
“Se vuoi raccontare attraverso un reportage fotografico la vita di un popolo, come quello dei nomadi dell’Anatolia, devi vivere con loro. Entrare nel gruppo e non essere un corpo estraneo. Solo così potrai conoscere la sua quotidianità, entrare nel cuore delle cose”. Ehran U�ar è nato a Istanbul 47 anni fa. Ha girato il mondo, ma soprattutto ha fotografo i volti di coloro che lo abitano. Come quelli degli Oruk, la popolazione che dall’Asia Centrale oltre mille anni fa si è spostata in Turchia. E dall’ora, non ha mai tradito le tradizioni e le origini. “Un popolo che vive con uno stile di vita semplice, che trova piacere nelle piccole cose e che accoglie la gente con molto calore” spiega il fotografo che a Foggia ha presentato resso il Foto Cine Club ‘Nella terra e nel cielo: gli ultimi nomadi dell’Anatolia’. E’ questo, infatti, il titolo della videoproiezione con cui Ehran U�ar ha raccontato per immagini la sua esperienza a stretto contatto con questo antico popolo.
Scatti di vita quotidiana, di sorrisi, di lavoro, di cene condivise. Un popolo sempre in movimento, che d’inverno pianta le tende vicino la costa marina e d’estate si rifugia all’interno del Paese senza neanche sfiorare le città turche. Ehran U�ar li ha seguiti per due volte: nell’ottobre del 2008 e nel marzo del 2009 per vedere come si organizzavano, come vivevano nelle tende costruite con pelle di capra. “Sono tende — ha detto il fotografo che tengono caldi d’inverno e freschi d’estate. Ed ogni sera le famiglie accendono un fuoco all’interno delle tende per riunirsi tutte insieme. E quando il fuoco si spegne, possono andare a dormire”.
U�ar ha deciso di riprendere la vita di questi nomadi perché dopo aver guidato greggi di capre e cammelli per l’Anatolia, i tempi stanno cambiando. Ed il Governo di Ankara sta ponendo grossi limiti al loro modo di vivere. Ma anche i più giovani sono attratti da tecnologia, comodità del progresso e voglia di accedere all’istruzone. Ed allora, le foto di U�ar aiutano a tutelare questa antica popolazione. Dove le donne della tribù, per timidezza o tradizione, ti parlano senza mai guardarti negli occhi. Ma dove dall’alba al tramonto questa gente sorride e lavora nella sua semplicità, dando valore alle piccole cose e alla sua cultura.
Emiliano Moccia
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ACLI
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