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Foggia, ecco FrontieraTv: servizi e cultura per favorire l’integrazione dei migranti

    Pre­sen­tata la web tele­vi­sion real­iz­zata da Euromediter­ranea nell’ambito del prog­etto DIMMi della Provin­cia di Foggia

    Una web tele­vi­sion ded­i­cata ai temi dell’immigrazione e dell’intercultura. Uno spazio aperto in cui incon­trarsi, con­frontarsi, conoscersi con l’obiettivo di offrire servizi ai migranti e creare occa­sioni cul­tur­ali. Per­ché è nella conoscenza dell’altro che è pos­si­bile super­are pregiudizi e paura. Questa la filosofia prog­et­tuale che anima ‘Fron­tier­aTV’, il canale mul­ti­me­di­ale real­iz­zato da Euromediter­ranea Piani­fi­cazione & Sviluppo, che vede nel prog­etto D.IMMI. — pro­mosso dall’assessorato Provin­ciale alle Politiche Sociali e finanzi­ato dalla Regione Puglia — la sua prima apparizione pubblica.

    Legge & Diritti, Salute e Assis­tenza Med­ica; Mondo del Lavoro; Casa & Accoglienza; Cul­tura & Reli­gione; Istruzione & For­mazione. Diverse le rubriche che carat­ter­iz­zano il palinsesto di Fron­tier­aTv che attra­verso doc­u­menti, servizi, reportage, schede di appro­fondi­mento, sto­rie di vita vuole “favorire un processo di comu­ni­cazione inter­cul­tur­ale che avvicini i cit­ta­dini ital­iani ai temi dell’immigrazione superando even­tu­ali e di pregiudizio e di paura” spiega Anto­nio Cocco, ammin­is­tra­tore unico di Euromediterranea.

    Ma Fron­tier­aTv vuole essere soprat­tutto uno stru­mento di servizio a dis­po­sizione dei migranti, un mezzo per facil­itare la loro inte­grazione nella vita socio-economica del ter­ri­to­rio. Per questo, a breve, i video rel­a­tivi all’accesso ai Servizi saranno tradotti in diverse lingue dai rifu­giati ben­e­fi­ciari delle borse lavoro pre­viste nel prog­etto ‘8 azioni per mille idee’.

    Infine, ‘Fron­tier­aTV’ ambisce ad essere un con­teni­tore cul­tur­ale di eventi ed inizia­tive final­iz­zate a pro­muo­vere le tem­atiche dell’immigrazione. Per questo, in col­lab­o­razione con leAcli � Pres­i­denza Nazionale Area Immi­grazione ha orga­niz­zato per giovedì 24 giugno, alle ore 18.30, presso la ‘Sala Rosa’ del Palazzetto dell’Arte di Fog­gia, la pre­sen­tazione del libro ‘Tutti indi­etro’ di Laura Boldrini, por­tav­oce dell’Alto Com­mis­sari­ato delle Nazioni Unite per i Rifu­giati (UNHCR).

    White, dalla Nigeria all’Italia per raggiungere la ‘terra promessa’

      La sto­ria di un gio­vane richiedente asilo che ha viag­giato in mare tre giorni e che ha las­ci­ato il suo Paese a causa di con­flitti politici e religiosi

      Lawrence White ha can­tato sotto le stelle. Ha can­tato e pre­gato che il suo viag­gio della sper­anza andasse bene. Un viag­gio durato tre giorni a bordo di una car­retta di mare, una di quelle barche che attra­ver­sano il Mediter­ra­neo per portare i migranti dalla Libia in Italia. Migranti che scap­pano dai loro Paesi per sfug­gire a guerre, fame, per­se­cuzioni. Come White, 25 anni e gli occhi grandi come il sor­riso che riesce ancora a regalare a chi gli chiede di rac­con­tare un po’ della sua sto­ria, di quello che ha vissuto.

      White: Sono andato via dal mio Paese per­ché avevo prob­lemi di tipo politico e ho visto molti dei miei amici arrestati. Ho las­ci­ato la Nige­ria a causa di prob­lemi politici. Sono andato via per­ché molti dei miei amici veni­vano arrestati e rischi­avo di essere arrestato anch’io. Quindi sono dovuto par­tire

      Ma White ha las­ci­ato la Nige­ria anche per motivi reli­giosi: lo scon­tro tra cris­tiani e musul­mani che ha provo­cato numerose vit­time. White è cris­tiano e non nasconde la sua fede. Anzi, è pro­prio in Dio e nella preghiera che trova la forza di andare avanti. Anche se durante il viag­gio ha toc­cato da vicino la sofferenza.

      WhiteE’ un’esperienza che non auguro a nes­suno. Il viag­gio è stato molto dif­fi­cile. Molti ragazzi non ce l’hanno fatta. Le con­dizioni della barca erano inu­mane. E ave­vamo tanti prob­lemi. La pelle si scre­polava sotto al sole. Io ho pianto spesso sulla barca per­ché la gente moriva men­tre parlavo ed io non potevo fare niente.

      Durante il viag­gio sulla barca White ha pen­sato sem­pre alla madre. Di lei non ha più notizie da quando è arrivato in Libia, da quando gli hanno separati.

      WhitePen­savo a mia madre. Ma soprat­tutto al fatto che potevo morire e la mia famiglia era lon­tana. La mia prima sper­anza era per loro, anche se in realtà non sapevo neanche se mia madre fosse ancora viva. Vedendo i miei amici morire non potevo fare altro che pre­gare per la mia anima e tentare di soprav­vi­vere. Non sape­vamo ove eravamo e dove stavamo andando.

      Poi lo sbarco a Lampe­dusa, in Italia e la sper­anza di essere arrivato in ‘Par­a­di­sio’, di non avere più problemi.

      WhiteSì, pen­savo di essere arrivato in Par­adiso e che tutti i prob­lemi fos­sero finiti. In realtà, ne sorsero di nuovi, ma immag­i­navo che con l’arrivo in Italia sarei stato felice. Per me era come la terra promessa. Così ce l’avevano descritta. Nes­suno poteva immag­inare il ripresen­tarsi di situ­azioni già vis­sute. Era una situ­azione para­dos­sale: vol­e­vano da noi dei doc­u­menti, vol­e­vano sapere se eravamo qui per lavo­rare, se ave­vamo un lavoro. Ma non ave­vamo nulla di tutto ciò. Il ris­chio allora era di tornare indi­etro. E noi non vol­e­vamo asso­lu­ta­mente tornare indietro.

      Ma da Lampe­dusa lo hanno mandato al Cen­tro d’Accoglienza per richiedenti Asilo di Borgo Mez­zanone. E qui che White ha pre­sen­tato la domanda come richiedente asilo politico.

      WhiteSono rimasto molto sor­preso per­ché indipen­den­te­mente da quello che dice­vamo, la Com­mis­sione ha dato alla mag­gior parte di noi una risposta neg­a­tiva. E ciò sig­nifi­cava per noi il pre­fig­u­rarsi la con­dizione di irre­go­lari, in quanto non avendo soldi, lavoro e tutto ciò che serve per avere il per­me­sso di sog­giorno e soprat­tutto un avvo­cato, non pote­vamo rice­vere e godere di nes­suna forma di assis­tenza e servizi. Il prob­lema era che non avevo nes­suno a cui far rifer­i­mento o su cui pog­gia­rmi, non avevo famil­iari. Sem­brava che il mio pas­sato, il mio vis­suto fos­sero irril­e­vanti al fine di poter essere legal­mente accolto. E questo era un problema.

      E adesso cosa stai facendo?

      WhiteE adesso è un prob­lema. Non ho soldi, non posso pagare l’avvocato, non ho dove dormire, non ho una casa. Ho pochi amici e molti di loro sono anche ripar­titi. Insomma, ho molti problemi.

      Intanto White coltiva il suo tal­ento, il dono rice­vuto in cam­bio della dura prova che ha dovuto affrontare. E com­pone, scrive can­zoni, melodie. Testi che hanno il com­pito di rac­con­tare agli altri la sua storia.

      WhiteLa mag­gior parte degli ital­iani non conosce i prob­lemi che abbi­amo avuto nel deserto, nel mare e tutto ciò che abbi­amo pas­sato. In molte delle mie can­zoni parlo del mio vis­suto per­ché questa è una neces­sità che sento den­tro di me. Io ho molti sogni. La cosa che mi piac­erebbe fare è poter cantare ovunque vada. Ma adesso penso a mia madre per­ché non so dove sia. Dove è? Come sta? Vor­rei rived­erla. Vor­rei che un giorno rius­cis­simo a ricongiungerci.

      Tutti indietro’, un libro per riflettere sui rifugiati

        Laura Boldrini, por­tav­oce dell’Alto Com­mis­sari­ato delle Nazioni Unite per i Rifu­giati, è stata ospite di un’iniziativa pro­mossa da Fron­tier­aTv e Acli — Pres­i­denza Nazionale Area Immigrazione

        In Italia nel 2009 le domande dei richiedenti asilo politico sono dimi­nu­ite del 130%, pas­sando dalle oltre 30mila dell’anno prece­dente a 17mila. Un calo non casuale, ma che va rin­trac­ciato nella polit­ica di resp­ing­i­mento nei con­fronti dei migranti messa in atto dal Gov­erno Ital­iano. Questa una delle rif­les­sioni emerse nel corso della pre­sen­tazione del libro ‘Tutti indi­etro’ diLaura Boldrini, por­tav­oce dell’Alto Com­mis­sari­ato delle Nazioni Unite per i Rifu­giati. La Boldrini è stata ospite a Fog­gia di un evento cul­tur­ale pro­mosso da Fron­tier­aTv, la web tele­vi­sion ded­i­cata ai temi dell’immigrazione e dell’intercultra, e Acli Pres­i­denza Nazionale Area Immi­grazione, in occa­sione della Gior­nata Mon­di­ale del Rifu­giato cel­e­brata lo scorso 20 giugno.

        Laura Boldrini (Por­tav­oce dell’Alto Com­mis­sari­ato Onu per i Rifu­giati UNHCRIl fatto che ci sia stata una dras­tica dimin­uzione delle domande d’asilo sig­nifica solo che per­sone che avreb­bero diritto di poter chiedere pro­tezione non lo pos­sono più fare in Italia. E questo cer­ta­mente non fa onore al Paese. Sig­nifica anche che la polit­ica dei resp­ing­i­menti non è servita a fare con­trasto all’immigrazione cosid­detta clan­des­tina, ma è servita a met­tere a dura prova la fruibil­ità del diritto d’asilo in Italia. Quindi per noi questa non è sicu­ra­mente una buona notizia.

        La Boldrini, quindi, ha deciso di met­tere “nero su bianco” le sue pre­oc­cu­pazioni, i tim­ori verso una polit­ica di resp­ing­i­mento che con­trasta con i diritti dell’uomo, con la Con­vezione di Ginevra del ‘51. Senza tener conto che il sis­tema d’asilo in Italia è ancora piut­tosto debole pur facendo leva su tre pilastri.

        Laura BoldriniL’accesso al ter­ri­to­rio, e oggi questo è reso molto dif­fi­cile dalla polit­ica del resp­ing­i­mento; la pro­ce­dura d’Asilo, che in Italia viene svolta con cri­te­rio e a nos­tro avviso è una buona pro­ce­dura; il terzo pilas­tro è quello dell’integrazione, nel quale man­cano asso­lu­ta­mente le risorse nec­es­sarie per aiutare le per­sone che hanno ottenuto un per­me­sso di sog­giorno per motivo d’asilo a rifarsi una vita, per­ché manca comunque un inves­ti­mento iniziale per con­sen­tire a queste per­sone di andare con le pro­prie gambe. Anche qui in Puglia voi lo vedete ci sono tanti ragazzi che hanno la pro­tezione inter­nazionale che vivono in con­dizioni di degrado, che ven­gono sfrut­tato spe­cial­mente nell’agricoltura sta­gionale e che sten­tano a rifarsi una vita. Questo per­ché non è stato fatto suf­fi­cien­te­mente un inves­ti­mento iniziale per cui poi alla fine questi ragazzi si trovano a soprav­vi­vere con i mezzi di cui dispongono.

        Nel suo libro l’autrice rac­conta le sto­rie dei migranti, uomini-donne-bambini, andati via dal loro Paese per sfug­gire a guerre e per­se­cuzioni. Un modo per far conoscere ver­ità tenute nascoste, per dare voce a quanti tra mille dif­fi­coltà e vio­lenze sono rius­citi ad arrivare in Italia.

        Laura BoldriniHo voluto scri­vere il libro anche per­ché pen­savo che fosse doveroso resti­tuire questo pat­ri­mo­nio di sto­ria all’opinione pub­blica e pro­prio per fare chiarezza su un argo­mento sui si è fatta una pura mist­i­fi­cazione. Per­sone, spesso vit­time di regimi e di guerre, che arrivate in Italia diven­ta­vano una minac­cia nell’immaginario delle per­sone, una minac­cia per la sicurezza nazionale. Ho pen­sato di voler dare la ver­sione di questo fenom­eno dal punto di vista di chi è arrivata negli anni.

        E a ren­dere più sug­ges­tive e toc­canti le sto­rie dei migranti è stato Roberto Galano, delTeatro dei Limoni, che ha letto alcuni bratti tratti dal libro. Ma la ser­ata ha ris­er­vato anche un’amara rif­les­sione sulla con­dizione delle donne in fuga dalla paura. Le più frag­ili, le più indifese.

        Laura BoldriniLe donne sono sicu­ra­mente quelle che pagano il prezzo più alto, per­ché pagano, molte di loro hanno pagato un pedag­gio ses­suale. Spesso nei casi di ragazze molto gio­vani neanche mag­giorenni. Ora io ho pen­sato che c’è troppo silen­zio su questo fenom­eno, sul fatto delle vio­lenze a danno delle donne che ten­tano di trovare un posto sicuro dove vivere, dove cer­care pro­tezione. E con questa ded­ica mi auguro di soll­e­vare un po’ atten­zione su questo fenom­eno nel quale non ci sono studi, non ci sono ricerche, non ci sono dati uffi­ciali. E’ come se tutto venisse oscu­rato per­ché non è inter­esse di nessuno.

        Tra gli ospiti che hanno dialogato con l’autrice, anche Elena Gen­tile, asses­sore al Wel­fare della Regione Puglia, che par­lando di immi­grazione ha ricordato il Forum ‘Mare Aperto’, l’iniziativa pro­mossa nel luglio del 2005 da Nichi Ven­dola come primo atto alla guida del Gov­erno Pugliese.

        Elena Gen­tileE’ stata per un pezzo della Puglia, per un pezzo della soci­età pugliese il momento in cui per davvero si com­in­ci­ava a pen­sare che anche da un’esperienza di gov­erno di per­ife­ria si potessero creare le con­dizioni non per cam­biare le cose o cam­biare il mondo, sarebbe stato troppo bello.Ma per dis­sem­inare anche in maniera silen­ziosa il tema della cul­tura delle dif­ferenze e del rispetto delle persone.

        Tante, dunque, le per­sone che hanno affol­lato la Sala Rosa del Palazzetto dell’Arte di Fog­gia, riu­nite dall’iniziativa cul­tur­ale lan­ci­ata da Fron­tier­aTv che vuole essere un primo passo, un primo seme verso altri appun­ta­menti tesi a favorire una mag­giore atten­zione verso il mondo dei migranti e dell’intercultura.

        Skype e facebook, contatti senza frontiere

          Le comu­nità dei migranti per dialog­are uti­liz­zano tutti i mod­erni canali di comunicazione

          Par­lano, chat­tano, scherzano, con­di­vi­dono espe­rienze. Si danno anche appun­ta­mento. Ma non nei pressi di qualche negozio o via par­ti­co­lare, ma davanti allo schermo del com­puter. Sono due ragazze ucraine che vivono a migli­aia di chilometri di dis­tanza. Una a Fog­gia, l’altra a Kiev. E come loro, cit­ta­dini di comu­nità africane, sudamer­i­cane, dell’Europa dell’Est pos­sono quasi sfio­rarsi, sen­tirsi vicini anche se sep­a­rato dagli oceani o terre scon­fi­nate. E’ la forza dei nuovi canali di comu­ni­cazione che abbat­tono le fron­tiere, che incener­iscono i con­fini, e riescono ad avvic­inare le per­sone. Spe­cial­mente i migranti, spe­cial­mente quei cit­ta­dini che vivono in Italia lon­tani dai loro par­enti, dai loro amici, da col­oro che hanno las­ci­ato per vivere il sogno di un vita migliore nel nos­tro Paese.Ed oggi gra­zie alle videochia­mate effet­tuate su Skype o al social net­work di Face­book comu­ni­care è molto più sem­plice. Bas­tano un com­puter ed un col­lega­mento inter­net. E se non tutti i migranti pos­sono accedere al servizio diret­ta­mente da casa, gli inter­net point a poco più di un euro all’ora con­sentono di rag­giun­gere vir­tual­mente tutto il mondo. E la mag­gior parte di questi Cen­tri sono gestiti pro­prio da cit­ta­dini stranieri.Quello di Skype è senza dub­bio il canale di comu­ni­cazione più imme­di­ato, per­ché anche se sep­a­rati da uno schermo, le per­sone hanno quasi la percezione di pot­ersi sfio­rare, toc­care, abbrac­ciare. Ed è così che i nonni rimasti in Ucraina pos­sono comunque veder crescere le loro nipo­tine nate in Italia. Un modo, dunque, per tenere uniti i con­tatti, per par­lare con i pro­pri famil­iari aggi­rando la tris­tezza del dis­tacco. Così come Face­book per­me­tte di chattare o di dare notizie di sé a chi è lon­tano. E tra le comu­nità di chi arriva dai paesi dell’Est, i social net­work più uti­liz­zati sono quelli di love.ru e kontakte.Finestre vir­tu­ali che ospi­tano e con­di­vi­dono in modo par­ti­co­lare i pen­sieri di cit­ta­dini russi, ucraini, polac­chi. Insomma, la tec­nolo­gia abbatte le fron­tiere ed anche se non può sos­ti­tuire il calore della vic­i­nanza, può ren­dere la per­ma­nenza di un migrante in Italia un po’ meno dura.

          Ehran U�ar, dall’alba al tramonto con i nomadi dell’Anatolia

            Il fotografo turco ha rac­con­tato per immag­ini la quo­tid­i­an­ità dell’antico popolo Oruk che vive in sem­plic­ità e con­serva le tradizioni

            “Se vuoi rac­con­tare attra­verso un reportage fotografico la vita di un popolo, come quello dei nomadi dell’Anatolia, devi vivere con loro. Entrare nel gruppo e non essere un corpo estra­neo. Solo così potrai conoscere la sua quo­tid­i­an­ità, entrare nel cuore delle cose”. Ehran U�ar è nato a Istan­bul 47 anni fa. Ha girato il mondo, ma soprat­tutto ha fotografo i volti di col­oro che lo abi­tano. Come quelli degli Oruk, la popo­lazione che dall’Asia Cen­trale oltre mille anni fa si è spostata in Turchia. E dall’ora, non ha mai tra­dito le tradizioni e le orig­ini. “Un popolo che vive con uno stile di vita sem­plice, che trova piacere nelle pic­cole cose e che accoglie la gente con molto calore” spiega il fotografo che a Fog­gia ha pre­sen­tato resso il Foto Cine Club ‘Nella terra e nel cielo: gli ultimi nomadi dell’Anatolia’. E’ questo, infatti, il titolo della video­proiezione con cui Ehran U�ar ha rac­con­tato per immag­ini la sua espe­rienza a stretto con­tatto con questo antico popolo.

            Scatti di vita quo­tid­i­ana, di sor­risi, di lavoro, di cene con­di­vise. Un popolo sem­pre in movi­mento, che d’inverno pianta le tende vicino la costa marina e d’estate si rifu­gia all’interno del Paese senza neanche sfio­rare le città turche. Ehran U�ar li ha seguiti per due volte: nell’ottobre del 2008 e nel marzo del 2009 per vedere come si orga­niz­za­vano, come vive­vano nelle tende costru­ite con pelle di capra. “Sono tende — ha detto il fotografo che ten­gono caldi d’inverno e fres­chi d’estate. Ed ogni sera le famiglie accen­dono un fuoco all’interno delle tende per riu­nirsi tutte insieme. E quando il fuoco si spegne, pos­sono andare a dormire”.

            U�ar ha deciso di ripren­dere la vita di questi nomadi per­ché dopo aver guidato greggi di capre e cam­melli per l’Anatolia, i tempi stanno cam­biando. Ed il Gov­erno di Ankara sta ponendo grossi lim­iti al loro modo di vivere. Ma anche i più gio­vani sono attratti da tec­nolo­gia, comod­ità del pro­gresso e voglia di accedere all’istruzone. Ed allora, le foto di U�ar aiu­tano a tute­lare questa antica popo­lazione. Dove le donne della tribù, per timidezza o tradizione, ti par­lano senza mai guardarti negli occhi. Ma dove dall’alba al tra­monto questa gente sor­ride e lavora nella sua sem­plic­ità, dando val­ore alle pic­cole cose e alla sua cul­tura.
            Emil­iano Moccia

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